CARRELLO
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Nel 1943, il bersagliere Olao viene richiamato al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale, costretto a lasciare la moglie Dolly e le figlie Anna Maria e Maurizia da sole nella loro casa alla periferia di Rovigo. Prima di partire, Olao promette alla piccola figlia Anna, che tornerà a casa, a patto che lei scriva un diario quotidiano, raccontando le giornate e i momenti della sua crescita. Anna, con la purezza e l'innocenza giocosa di una bambina di cinque anni, accetta il compito, vedendo nel diario non solo un modo per mantenere vivo il legame con il padre, ma anche una sorta di incantesimo che ne garantirà il ritorno. Mentre la guerra infuria e le bombe cadono dal cielo, Anna scrive con dedizione, raccontando le paure, le speranze e le difficoltà che lei e la sua famiglia affrontano ogni giorno. Il diario diventa così un riflesso della realtà cruda e drammatica della guerra, filtrata attraverso gli occhi di un'innocente che cerca di dare un senso al caos che la circonda, trasformando le sue parole in un simbolo di resistenza e speranza. Ma nell'estate del 1945, un getto di acqua cancella l'inchiostro di quei giorni scritti, interrompendo così l'incantesimo, e lasciando nell'incertezza il futuro di Anna inconsapevole del meritato premio che sta per arrivare.
Leggendo il libro tutto d'un fiato, mi è sembrato di entrare in un film. Anzi, spero che ne facciano un film!
Sono passati ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nonostante il tempo su scala storica sia pressoché insignificante, sembra che l’essere umano, con le sue miserie ed i suoi piccoli intrallazzi non abbia ancora imparato la lezione. Questo romanzo ci riporta indietro all’inverno-primavera del 1944-1945, forse il momento più pesante di tutto il conflitto, perché vissuto in casa nostra, perché la popolazione era stremata, perché per una minima incomprensione si rischiava la fucilazione sul posto. Ecco che dalle tenebre di quei giorni emerge un racconto pulito, una testimonianza acritica di una bambina, Anna, che scrive le sue giornate per non far perdere nemmeno un istante di quanto il babbo non può vivere in quanto al fronte a combattere il “Nemico”. Lo scorrere delle giornate, nell’attesa del ritorno di Olao, il Bersagliere, è ricco della quotidianità di guerra dove è emozionante guardare il lievitare di una torta nel forno, dove le bombe che cadono sono il caos ma anche il sollievo di un’interruzione delle lezioni per la sorellina di Anna che mal sopporta la scuola e vorrebbe giocare tutto il giorno. Non c’è l’orrore, è solo accennato, come quello che si intravede con la coda dell’occhio, la Shoah è appena accennata in poche righe commoventi, asciutte, quasi crudeli anzi, crudeli come la verità che emergerà nei mesi seguenti la fine del conflitto. Le bombe che cadono sono rumore e polvere, perché gli occhi che assistono sono quelli di una bimba che non ha sviluppato il concetto di morte ma coltiva la speranza di riabbracciare il padre e lega questa speranza alla cronaca del quotidiano, tanto che quando perde il diario che sta scrivendo per il padre, la vediamo camminare tra la polvere e le macerie, i vetri, disperata, quasi una sequenza rosselliniana. Quello che manca oggi, ribadisco, che ancora la lezione che la guerra è uno schifo non è stata imparata, è un ritorno al realismo, alle cose vere importanti del vivere, il gioco, l’amore per i propri cari, le cose semplici, il pane, gli amaretti per la festa di compleanno. C’è un momento che è significativo nel racconto dell’attesa del ritorno del genitore, la radio spenta perché foriera di notizie sgradevoli, non volute, musica e tragedia un po’ come oggi che il medium comunicativo urla e sovrasta le coscienze, come un drago impazzito, dagli altoparlanti escono le grida ed i proclami dei tronisti e dei politici a sancire quello che il popolo deve eseguire per un non precisato bene comune: tutto questo è la copia carbone di quello che usciva dalle valvole delle radio, sotto forma di ballate di Rabagliati e proclami degli speaker, pardon, degli annunciatori, dell’EIAR. Per questo la radio rimane spenta per quasi tutto il corso della guerra, non per vigliaccheria ma per non cadere nell’inganno di una notizia non veritiera: “25 Aprile…i nemici hanno occupato Ferrara…” Il racconto è reale, vero, filtrato appena da una mente narrativa che ha collegato i passi per rendere la passeggiata indietro nel tempo, agevole ed emozionante, adesso manca solo un Zavattini che ne scriva la sceneggiatura ed un De Sica che la traduca in immagini: forse è un sogno ma sognare non si può proibire, nemmeno in tempo di guerra.
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