CARRELLO
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Lo scenario si apre sulla tremenda povertà della gente che vive a ridosso delle Alpi e la tragica sofferenza del lavoro infantile, ossia cose per niente straordinarie all’inizio del novecento; molti bambini e adolescenti sono spesso sfruttati e sottratti al calore e all’affetto della famiglia. Succede anche a Gelso, il protagonista del racconto che, però, ha le capacità per sottrarsi a quell’esistenza: una vita alla soglia della privazione della dignità umana. Infatti, fortuite circostanze gli permettono di farsi un’ampia cultura, ciò che lo scaraventa di colpo a fare l’istruttore privato in casa del padrone di quelle terre. Così entra in punta di piedi in un mondo di agiatezza economica e si rende conto che la ricchezza non rende le persone immuni da patimenti, angosce e pure lutti.
Animato da un’amica, Gelso affronta gli esami per divenire insegnante di scuola elementare. E il suo sogno si avvera: li supera e, mentre è coinvolto nello scenario violento della prima guerra mondiale, riceve l’incarico di dare lezioni in un paesello. Gelso lascia la trincea e si avvia verso la scuola dove darà lezioni. Ci arriva passando attraverso avventure rischiose e incontri agrodolci. Assieme a sua moglie Nirvana, quel luogo è per Gelso l’inizio di una vita fatta di tante soddisfazioni e alti riconoscimenti.
Sullo sfondo, altre tragedie umane si consumano.
Il romanzo mi ha piacevolmente sorpreso per le diverse tematiche trattate e il modo in cui sono state esposte. Prefigura andamenti politici nell’ambito dello sviluppo della democrazia del secolo scorso, la corruzione delle pubbliche istituzioni, ma soprattutto la triste e vergognosa realtà dei bimbi dati in appalto. Bambini trattati come mera forza di lavoro a basso prezzo. Gli elementi di tristezza sono tuttavia accompagnati da situazioni comiche. Leggendolo, verrebbe da piangere ma si è costretti a ridere. Un libro che, come lo si comincia, non si riesce più distaccarsene.
Ho voluto leggerlo ben due volte questo capolavoro di Antonio Guzzon. Ho invitato anche mia moglie a leggerlo perché volevo un confronto, un dialogo sui temi. Prima di tutto invito l’autore a farlo tradurre almeno in tedesco e proporlo in Svizzera perché merita tanto. Incredibile come si possa narrare di storia, vera di gente vera. Narrarla con dolcezza anche nella freddezza e nella crudeltà di certi momenti descritti cosi in dettaglio. Sapere sviluppare il subire al creare senza tralasciare nulla. Qui non è solo il piccolo Gelso dal gioco dell’infanzia al mondo del duro lavoro. Qui sarà il lettore ad esserne parte integrante, godendo anche della minuziosa descrizione dei paesaggi circostanti che Antonio Guzzon non ha di sicuro tralasciato. Saper descrivere l’ingenua paura di un bimbo che deve nasconderlo a chi è grande, tanto più grande di lui. Un libro che narra di vita, mai facile, tanto dura, che ti porta a distaccarti dagli affetti più intimi. E il racconto ti fa pensare che anche oggi, con abiti e case e lavori diversi, stiamo ritornando a quel periodo, a quelle situazioni dove la povertà esisteva e la viveva, contrariamente a oggi, anche col sorriso sulle labbra. Bello vedere come l’autore sia stato capace di descrivere il commovente senza cadere nel patema. E poi il titolo, che sul momento fa sorrider. Non ci poteva esser titolo migliore. Bravo davvero il Guzzon. Giovanni Ardemagni, Saltrio
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