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Alcune note su una non entità

Alcune note su una non entità

di Umberto Bieco (Autore)

Il Superato era incapace di vivere.
Ma il mondo era incapace d'esser vivibile.
Un nevromanzo dal solipsismo pernicioso, e dalle pernici solipsistiche.
Un mondo orribile dove le piccole creature non vengon salvate.
Palate di romanticismo andato a male.
Boschi Oscuri, Fate e fanciulline.
Manie, cinematografie, poesiole e canzoncine.
Uno scaracchio in faccia alla civiltà.
Una torrida e scandalosa storia di sessuofobia.
L'orrore dell'esistenza e dell'esistente.
L'invereconda insostenibilità del malessere.
E mille altre squisite ricette per le vostre cene con gli amici.

Informazioni editoriali

Data di uscita
2017
Editore
Youcanprint
Pagine
236
ISBN
ISBN
9788892640184

Recensioni clienti

5 su 5 stelle sulla base di 2 Recensioni
Da Umberto Bieco il 22 mar 2021
Pubblicazione cartacea

Recensione apparsa su "Le stanze di carta", ad opera di Lavinia Frati. URL: http://lestanzedicarta.blogspot.it/p/alcune-note-su-una-non-entita.html "Il superatore e il superato sono i due volti della personalità già indagata, a livello filosofico, da Nietzsche e che nel romanzo di Umberto Bieco vengono efficacemente rappresentati nelle loro molteplici sfaccettature. Entrambi vivono le stesse emozioni ma diverse sono le reazioni che quest’ultime suscitano sulla personalità del protagonista. Il divario, quasi schizofrenico, tra le due lega il lettore al racconto e lo fa sorridere delle varie situazioni sentimentali raccontate. La donna è raccontata attraverso la mente di uno psicopatico, di uno stilnovista, di un sessuofobico. Lo scardinamento della normalità avviene come fosse un fatto naturale: se non che i suoi effetti, sulle donne che incontriamo, non sortiscono nulla di buono. I rapporti tra uomo e donna vengono qui descritti nell’estrema povertà che l’attuale epoca ha reso: la tecnologia permette di mostrarsi come, nella realtà, non si è. E quando ci si deve poi mostrare all’altro, ecco allora che la paura di non essere all’altezza mutila e rende impreparati. E’ un romanzo psicologico questo, che analizza le emozioni arricchendole con l’umorismo di chi, riuscendo a distaccarsi dalla propria incapacità e piccolezza, ha imparato a volgere lo sguardo verso sé prima che verso gli altri. Ma gli altri non vengono certo risparmiati: neanche se si chiamano Kafka Camus o Dostoevskij. E’ la banalità del normale quello che sembra essere un elemento urticante per il narratore: ma questa banalità, che pure qualche soddisfazione sembra darla, è quella a cui il protagonista vorrebbe, a volte, arrivare: magari riuscendo a parlare con la ragazza dai capelli biondi a cui chiede, come un personaggio ottocentesco, se può avere l’onore di accompagnarla a casa. Accanto a questa delicatezza sentimentale troviamo, ma non in antitesi, una macelleria della carne in cui il corpo “ha il suono della carne che sbatteva, che si schiaffeggiava”. La sporcizia sessuale che modifica le persone: questo concetto molto cattolico è in completa antitesi a momenti in cui sembra di leggere alcuni brani di Bukowski. Lo spazio di felicità si riduce a una rincorsa verso un volto di donna che muta ma che, di volta in volta, dà la sensazione che il superato potrebbe anche avere la meglio sul superatore. Il racconto ha rimandi temporali tali da intrecciare il passato al presente, i ricordi all’attualità e il lettore dimentica presto, leggendo, che il superatore, con la pancia prominente e la capigliatura ormai rada, ha, probabilmente, fagocitato il superato. Lavinia Frati, 18 aprile 2017"

Da Umberto Bieco il 22 mar 2021
Pubblicazione cartacea

Recensione apparsa su "La signora dei filtri", scritta da Patrizia Poli. URL: http://signoradeifiltri.overblog.com/2017/03/umberto-bieco-alcune-note-su-una-non-entita.html Il Superato, protagonista del romanzo Alcune note su una non entità, si confronta col Superatore e ne esce perdente. Il superato non ha nome, è una non entità, lo immaginiamo fra i trenta e i quaranta, nullafacente, vivere ancora insieme ai genitori e sulle loro spalle. Sognatore, poeta, passa la vita a scrivere testi di canzoni in inglese e a rimuginare su se stesso, autoanalizzandosi senza pietà e giudicando il mondo in modo solipsistico, un mondo che gli appare sbagliato e poco attraente. È immaturo, presumibilmente affetto da ansia sociale, o, almeno, ne ha tutti i sintomi, condizione che purtroppo conosco bene per doverla vivere ogni giorno sulla mia pelle. In pratica è uno che guarda la vita da fuori, la vede scorrere come un fiume nel quale vorrebbe entrare senza mai avere il coraggio di saltarci dentro. È una parodia del giovane favoloso, di un Leopardi ingobbito, pronto a scrivere versi per la fanciulla di turno capace di catalizzare il suo sguardo e infiammare la sua mente. “Si confermava come una di quelle persone perse negli anfratti sotterranei della non esistenza, mentre i vivi passavano sopra. Come quasi ogni altro, concentrato su se stesso, ignorava la fitta popolazione di quei luoghi. I suoi simili”. (pag 19) Gli Altri – chiamarli amici sarebbe eccessivo – stanno all'esterno e vivono, lui li guarda mentre giocano, studiano, si sposano, procreano, guadagnano una posizione e una carriera. Lui rimane sempre fermo al palo, impaurito, impigrito. E la scrittura è solo un altro alibi per rimandare il processo di maturazione. In più, è un erotomane sessuofobico, laddove i due termini sembrerebbero in contraddizione senza esserlo. È enormemente attratto dal sesso e dall’amore, ma non riesce a mettere in pratica le sue fantasie, vuoi per la solita ansia da prestazione, vuoi per un disgusto che subentra a punirlo e distoglierlo dall’obiettivo. S’innamora di alcune ragazze, le spia, le segue, instaura con loro un rapporto virtuale o telefonico, scrive su di loro pagine e pagine di diario, ma non riesce mai a concludere, per timidezza, per paura e per ripugnanza. Il sesso lo spaventa, gli appare come uno svilimento dell’ideale, del romantico, del trascendente. Le ragazze passano dal ruolo di muse angelicate a mero oggetto di masturbazione colpevole. La storia si muove avanti e indietro nel tempo, recuperando episodi remoti per analizzarli senza compassione. È il “movimento di una stasi”, sono le increspature di un tempo che scorre inesorabile lasciando tutto com’era, eppure spostando comunque ogni cosa in avanti. Il mondo intorno muta e lui rimane bloccato nelle stesse tossiche elucubrazioni sulla propria inconcludenza, sull’incapacità di provare sentimenti autentici, sulla struttura nevrotica del proprio io. Sogni, libri, film, saggi, recensioni, scrittori e registi vengono sbeffeggiati ma anche analizzati con intelligenza, i nomi sono camuffati ma riconoscibilissimi, come lo stesso divertente pseudonimo dell’autore, Umberto Bieco, che non dà alcuna informazione su di sé. Che cosa distingue questo ennesimo tentativo di diario trasformato in romanzo di (de)formazione - in “nevroromanzo”, come l’autore stesso lo definisce - dal mero onanismo su carta? Cosa, in parole povere, mi fa leggere volentieri questa storia non originale? Non lo so, forse il modo in cui è scritta, personale, intessuto di allitterazioni ritmiche, intellettuale ma non noioso; forse l’ironia crudele che diventa, insieme, pietà, schifo e sarcasmo verso se stesso; forse quel mescolare generi, dai testi di canzoni, ai saggi letterari e cinematografici, a libri e, soprattutto, film che conosco e prediligo; forse è perché anch’io amo la lingua inglese; o, forse, è solo perché personalmente mi ritrovo nella descrizione dell’ansia sociale e dell’introversione spinta fino all’asocialità. Eh, già, quanto sarebbe bello non “doversi capire e ricreare in continuazione” ma semplicemente esistere. “Era molto più semplice continuare a lasciarsi morire che vivere. E allo stesso tempo non si rassegnava a ciò.” (pag 118)

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