CARRELLO
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Le storie degli internati militari italiani nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale potranno sembrare una uguale all'altra, ma non lo erano i sentimenti che intimamente ciascun prigioniero viveva in modo autonomo.
Condividevano una patria, la stessa divisa; condividevano un NO fragoroso urlato e ripetuto a chi gli chiedeva di passare dalla loro parte per stare meglio. In 650.000 fecero la scelta di stare peggio ed Aldo era uno di loro.
Doveva resistere dove era impossibile farlo, ma farlo assieme ad altri disperati poteva dare forza a tutti. Amicizia, fede, amori e famiglia erano argomenti a cui aggrapparsi. Alcuni non riuscirono a venirne fuori integri.
Aldo preferì dimenticare e non parlare di quegli anni per il resto della sua esistenza.
Coccolava il suo astuccio e le cose che conteneva, ve ne ripose altre per farne uno scrigno.
Un libro che ho letto spinta da varie curiosità: l’autore è un mio vicino di casa, che ho conosciuto recentemente e solo quando vicino non era più, perché avevo cambiato città; una omonimia nel cognome, (mi piacerebbe sapere se abbiamo antenati in comune );Il contenuto del romanzo, che mi ha arricchito di una nuova, drammatica conoscenza: tra i milioni di deportati nei campi di concentramento, diversi soldati italiani che dopo aver combattuto una guerra, si sono visti catapultati in una realtà completamente diversa dalle loro aspettative. Evidentemente il debito della sofferenza ancora doveva essere estinto, era necessario provare l’ebbrezza di ulteriori dolori scanditi dalla fame, dal duro lavoro, dalle innumerevoli umiliazioni, dall’assistere impotenti a morti ingiuste e ancora oggi inspiegabili. Paolo ha scelto un protagonista davvero speciale, il suo papà. Aldo ha solo vent’anni, si trova in Grecia, poi a presidiare Creta. È forte, ma solo perché dopo l’armistizio del ‘43 capisce che la fortuna ha giocato dalla sua parte: è vivo, pronto a tornare a casa dalla sua famiglia, dalle sua ragazza che vorrebbe sposare, Iolanda. Ma viene catturato dai tedeschi, in seguito al rifiuto di appartenere alla repubblica sociale, e spedito in un lager,dopo un viaggio infinito a patire la fame e la sete su di un carro bestiame. Per sopravvivere si offre di fare il barbiere, in cambio di un po’ di cibo in più e qualche sigaretta. Aldo uscirà dall’inferno solo perché il destino ha giocato in suo favore, ma non racconterà mai in modo dettagliato la sua storia. Rimuovere può aiutare ,in fondo, a ricominciare. Paolo offre una testimonianza importante su questa porzione di umanità che ha vissuto l’orrore dei campi di concentramento, senza appartenere a coloro che per primi erano i “ veri privilegiati” dell’orrore nazista. Dopo 75 anni, emergono nuovi aspetti di quei fatti che non riusciamo, e non vogliamo seppellire. È tuttavia un omaggio pieno d’amore alla memoria di un padre, di cui solo dopo molto tempo il figlio Paolo ha cominciato a interpretare quei misteriosi silenzi, e le inspiegabili malinconie nel fondo dello sguardo perso lontano. Paolo Angeloni, “ Il Barbiere dello Stalag VI C”, prefazione di Mario Avagliano.
Ho finito di leggere questo libro di Paolo Angeloni . Descrive l'odissea del padre, fatto prigioniero a Creta e poi internato in campo di concentramento a Bathorn nello STALAG VI C (lo stesso dove è stato mio padre). Pur raccontando le brutture della guerra e delle condizioni inumane dei prigionieri, ciò che prevale sempre è l'umanità del padre. Ben si capisce anche il dramma che hanno vissuto una volta rientrati in Patria, troppo spesso non creduti o quantomeno guardati con una certa diffidenza. Ho pensato tante volte che avrebbero dovuto parlare di più, ma capisco i loro silenzi. ONORE a loro.
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