CARRELLO
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I protagonisti. Siamo verso la fine degli anni ottanta e tre giovani esistenze si intrecciano nel tran tran della vita di provincia, tra amicizia, amore e incapacità di gestire le frustrazioni del vivere quotidiano.
Andrea e Marco sono compagni di liceo, pragmatico e disincantato il primo, idealista e un po’ poeta il secondo. Due facce della stessa medaglia, dove la diversità unisce anziché separare.
Poi c’è Giulia, pericolosa perché si nasconde e non manifesta le proprie emozioni facendosi scivolare tutto addosso. Nell’intreccio amoroso che trascinerà e sconvolgerà Andrea, la cripticità di Giulia porterà a una doppia chiave di volta: da un lato l’amore che nasce e dall’altro il tragico epilogo che coinvolgerà il trio.
Sarà però Marco, in una giornata qualunque in un bar qualunque, a unire Giulia e Andrea.
Sarà sempre Marco, in una giornata qualunque in un bar qualunque, a segnare inconsapevolmente l’inizio della loro fine.
L’incontro. La scorsi nel roteare il mio grosso cranio alla disperata ricerca di un cesso dove svuotare la mia vescica, trasformatasi per l’occasione in una zampogna.
Strano il destino a volte, basta una pisciata a segnarti la vita.
Capacità o non capacità, ritengo un obbligo morale recensire opere di conterranei: dovrebbe divenire una consuetudine, poiché impegnarsi a comprendere l’opera o goderne non è sufficiente. Non certo per aumentare le vendite o per fini beceri, ma perché se un individuo che conosci e magari anche frequenti, oltre al lavoro che gli assorbe le giornate, utilizza l’arte per esprimersi, beh, il minimo è donare attenzione e riscontro. Gli artisti non dovrebbero essere intervistati o troppo indagati nel profondo, andrebbero solo più rispettati e l’accoglienza di un’opera è il primo passo per avere un senso civico migliore. Non è obbligatorio esserne influenzati o rapiti, ma è semplicemente bello condividere, termine desueto. Non per me. Recensire Levrangi non è una cosa che puoi fare schioccando le dita; è necessario addentrarsi nei mondi che descrive con rapidità, ricchi di dettagli, scrutabili con avidità. Levrangi non è ridondante, possiede un’intelligenza urticante che trasforma in ironia talvolta feroce, talvolta dolcissima. Anche di persona, ma questo non dovrei dirlo, però se c’è qualcosa che collima esattamente con la sua personalità e il suo modo di scrivere, è proprio questa sensibilità ironica che, in un ambiente estremamente provinciale, sfuggirebbe ad un occhio poco attento. La sua opera invece sa fare proprio questo: catturare l’attenzione. Non è un poeta, ma c’è poesia in certe sue frasi lapidarie; non è uno psicologo di professione, ma profondamente analitico-psicologica è la descrizione-sempre veloce- dei suoi personaggi. La velocità, oggi, è caratteristica fondamentale per non annoiare chi, in questo caso, ti legge. Scrittura schietta e rispettosa, ma profondamente tagliente, che provoca quei tagli che non si rimarginano in fretta e che lasciano una piccola cicatrice, per non dimenticare. Non è da tutti. Una scrittura che non va considerata con cautela, poiché essa stessa non lo permette; scrittura che sembra dire, come una donna innamorata: ‘Prendimi e fai di me quello che vuoi, tanto troverò il modo di essere tua’. Una sorta di ermetismo post-moderno, pieno di coscienza critica velatissima. Coscienza critica che si fa intima, attraverso un’acutezza che permette a certe consapevolezze di convergere in pensieri fermi,ma sempre pronti allo scatto atletico, verso il traguardo di una realtà spietata, nel bene e nel male. Cinica e fiera quanto basta, fluida ed istrionica, i periodi non annoiano, invogliano a voler sapere ‘come va a finire’. E qui ti frega. Non va mai a finire come avevi previsto, desiderato, ipotizzato: tutto si colloca nell'ambito di un dualismo tra il mondo interiore dell’autore e quello esteriore del lettore ed offre una libera possibilità di obiettare, dissentire o concordare. La cosa migliore delle sue opere, comune a pochi autori, è che rileggendole in tempi diversi e con propensioni diverse d’animo, è come se non le avessi mai lette prima, paiono sempre nuove. L’estrema sincerità narrativa di Levrangi è ciò che, purtroppo,oggi non gli permette di entrare in qualche olimpo autorale, ma tanto non gli interessa. O si è i primi, o si è i migliori. La sua interpretazione del reale è la cosa che più permette al lettore di distaccarsi da una visione propria ed aprire la mente ad altri principi ispiratori. Chi lo legge e non gli dedica due righe, dopo quello che ci offre, rimarrà a mio avviso sempre uno stronzo, mentre lui, scrivendo, camminerà sempre metri sopra il guano da cui siamo avvolti. Grazie Levrangi, ad multos annos. Sara Nolli
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