CARRELLO
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Non dualità e libertà dall’io per la crescita spirituale verso l’illuminazione e il risveglio
di Claudio Patrini (Autore)
Il Mumonkan, composto nel XIII secolo, comprende quarantotto koan ("casi pubblici") in cui sono registrati, in un caratteristico stile sintetico e diretto, degli aneddoti relativi ai maestri cinesi del periodo migliore del Ch'an, tra il VII e il X secolo. Una situazione tipica riportata nei koan era il dialogo tra maestro e allievo. Ma quelle serie di domande e risposte erano ben diverse da una normale conversazione, erano piuttosto un incontro-scontro tra due atteggiamenti mentali: quello dell'allievo, che cercava, con l'uso della ragione, di capire ciò che va oltre la ragione; e quello del maestro, che con azioni e parole paradossali e imprevedibili sbarrava la strada ad ogni tentativo di comprensione intellettualistica, per ottenere che l'allievo riuscisse a sperimentare, in maniera diretta e immediata, il contatto con la realtà ultima. È bene chiarire che lo Zen, almeno nel suo periodo d'oro, era cosa ben diversa da quello che generalmente si intende per religione. Ogni religione è caratterizzata da un insieme di credenze, di precetti e di pratiche, e dall'intenzione di volgersi ad un'entità superiore per adorarla e per invocarne l'aiuto. Niente di tutto questo è presente nei koan. Non vi si trova infatti alcuna esortazione a credere in verità rivelate, né il rispetto di particolari obblighi è ritenuto imprescindibile. Le pratiche religiose, poi, sono considerate positive, ma solo come un dato di fatto. Ci possono essere delle pratiche nella vita, ma non c'è vita nelle pratiche. Anche il riferimento ad una dimensione superiore, nei koan ha un carattere diverso che nelle religioni. Il Buddha rappresenta il più alto obiettivo verso cui indirizzare la propria vita, ma si guarda ad esso per giungere a conoscerlo e a riconoscersi uguali a lui, non per adorarlo come una divinità. Il percorso indicato dai koan non è dunque di tipo devozionale, ma conoscitivo. D'altra parte, la via dei koan non è neppure filosofica. Anzi, il pensiero concettuale è visto come l'ostacolo principale al raggiungimento della verità. Ma, se tanto la devozione quanto il ragionamento vengono scartati, cosa propongono allora i koan? I koan offrono lo spunto per una conoscenza diretta della realtà, non mediata dalle forme mentali. Tale conoscenza è possibile perché coincide con il nostro semplice essere. Non si tratta infatti di raggiungere qualcosa di difficile e di lontano, ma di uscire dalla prigione delle illusorie costruzioni mentali, per ritrovare la propria vera natura. I koan contengono vari approcci per liberarsi dalla ingannevole visione del mondo che viene costruita dal pensiero comune. Essi invitano a rigettare le strutture mentali e le modalità "normali" con cui ci siamo abituati a vedere il mondo. Nulla viene risparmiato da un'analisi radicale e priva di compromessi, perché la minima concessione alle consuetudini del pensiero concettuale significherebbe la ricaduta nell'illusione. Per questo viene detto: "Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo!".
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