Le mie radici

Un uomo potrà andar via dalla propria terra... ma la sua terra non andrà mai via dal suo cuore. “…Man mano che ci avvicinavamo sempre di più alla piazza della chiesa e alla via che conduceva alla nostra casa, più di una volta provai un leggero tremore alle gambe. In ogni cosa che incontravo, nelle cose che “voracemente” guardavo, ritrovavo me stesso. I sassi sulla via, quante volte a piedi scalzi avevo inciampato contro di essi, le pozzanghere, la fontana, il muretto di fronte a essa, la chiesa, le persone, le case con le loro particolarità, le loro porte, i loro tetti dai quali saliva lento il fumo d’u focularu, l’odore delle rape cotte, le vecchiette sull’uscio ad alimentare il fuoco nel braciere, sentivo che tutto mi apparteneva, era dentro di me. In essi ritrovavo la mia sicurezza, scompariva il senso di estraneità che avevo vissuto in quel mondo così lontano…” Questo è il passo che maggiormente mi ha colpito e che è sul retro di copertina.

Ho letto questo meraviglioso libro di Vincenzo Mazzeo dove lui parla, con tanta bellezza, nostalgia e sentimento, del suo piccolo paese di Calabria (Calabrò): le sue vie, le sue piazze, i tanti luoghi che fanno parte della sua fanciullezza, i giochi con gli amici, le feste dei Santi, le tradizioni e la gente (il sarto, il barbiere, il calzolaio, il falegname), sono descritti con ricchezza di dettagli e dimostrano il grande legame del’autore con il suo paese e le proprie origini. Parla, anche, dell’emigrazione e i suoi problemi (per chi parte e, anche, per chi resta): il dolore per la separazione della famiglia e per la perdita degli amici, la nostalgia, il sentirse straniero nel nuovo paese e, anche, l’svotarsi del paese. La campagna, il lavoro con la terra e tutto il mondo contadino (con i suoi valori) sono presentati a noi attraverso gli occhi di un ragazzo e con parole colme di poesia, semplicità e amore. Il brano che ho scelto è uno di quelli chi mi piaciono di più, perchè porta a noi, in modo più bello, il sentire l’appartenenza al paese e l’stupore con “l’affascinante e meraviglioso risveglio della campagna”. “L’affascinante e meraviglioso risveglio della campagna era sicuramente l’avvenimento che, in questa stagione, più di tutti mi coinvolgeva, mi rapiva. Spesso mi soffernavo ad ammirare il grano appena grandicello lasciarsi dolcemente accarezzare dal vento; anch’ io, come le pianticelle, alzando lo sguardo verso il cielo mi lasciavo dolcemente sfiorare da quella piacevole brezza primaverile. Giorno dopo giorno non mancavo di gustare lo sbocciar prima timido e poi prepotente del pesco, del nespolo, del prugno, del melograno e degli infiniti fiori che illuminavano ogni angolo di terra. Semplicemente spontaneo era poi fermarsi ad ammirare le numerose viole che abbellivano e profumavano i lati del sentiero; come semplicemente spontaneo era fermarsi a raccoglierle per sentire più da vicino il loro profumo; tante volte, con la dolcezza nell’animo, le portavo alla ragazza del cuore.”