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Manuale di giardinaggio selvatico

Manuale di giardinaggio selvatico

di Maria Ferdinanda Piva (Autore)

Iris, gladioli, tulipani... In
Italia crescono fiori selvatici molto belli ma ormai difficili da incontrare.
Questo manuale insegna a scovarli a colpo sicuro e a buon mercato negli ordinari
canali commerciali e a coltivarli con successo: servono meno tempo, meno soldi
e meno fatica rispetto a un giardino convenzionale. Oltre ai fiori, anche
arbusti e rampicanti: flora spontanea e piccoli animali sono legati a doppio
filo; solo un giardino selvatico può offrire nutrimento e rifugio a farfalle,
uccelli, ricci e a una moltitudine di altre piccole creature.

Informazioni editoriali

Data di uscita
2021
Editore
Youcanprint
Pagine
168
ISBN
ISBN
9791220366120

Recensioni clienti

5 su 5 stelle sulla base di 1 Recensioni
Da Rossella Del Grande il 18 gen 2022
Pubblicazione cartacea

“Manuale di giardinaggio selvatico”, libro autoprodotto dall’autrice, mi ha incuriosita immediatamente a partire dal titolo, dal quale traspare tutto l’amore e la passione di Maria Ferdinanda Piva per la Natura e per le piccole grandi cose che arricchiscono il nostro mondo vicino. Mi sono tuffata nella lettura con grande interesse ed anche con la voglia e il piacere di riconoscermi in questo approccio al mondo “piccolo”, ormai dimenticato, sparito o sottovalutato dai più. Siamo abituati da molti anni ad avere tutto il mondo in tasca, a saper descrivere magari una mangrovia senza neanche averla mai vista dal vero, a ricercare cibi, aromi, fiori, alberi, essenze provenienti da qualunque angolo del nostro Pianeta, spesso arrivando a operare, nelle coltivazioni e nelle nostre diete, una vera e propria sostituzione di quello che era il nostro patrimonio vegetale autoctono, stravolgendo molto spesso gli equilibri naturali con l’introduzione di specie di velocissima crescita e produzione, sicuramente bene accette da chi ha a cuore il profitto o la pseudo bellezza rapida ed effimera. Tutte scelte che stanno provocando conseguenze deleterie a danno di altri organismi viventi meno aggressivi, piante e insetti che, nel “loro piccolo”, prosperavano serenamente da sempre sui nostri terreni e con i climi più adatti a loro, donandoci anche ottimi ingredienti per la nostra cucina, per la nostra salute e bellezza, e anche per il piacere degli occhi. Nel libro vengono affrontati molti temi in modo ordinato, chiaro, accessibile anche a chi non si è mai occupato di giardinaggio o di orticoltura, con la descrizione delle peculiarità delle varie specie, suggerimenti, nomenclatura e anche alcuni contatti dove poter reperire le specie di cui si parla, coltivate in modo naturale e non forzato. Il concetto su cui questo lavoro si basa, è la riscoperta e la salvaguardia di tutto quello che cresce (o cresceva) spontaneamente nei nostri campi, nei nostri boschi, sui nostri monti o lungo i fossi. In questo meraviglioso scenario, così variegato, la sola cosa che ci occorre per un approccio fattivo è la capacità di saper “osservare” (e, naturalmente, saper “rispettare”). Mi viene spontaneo fare un parallelo con la fotografia: il dilettante che ha in mano un apparecchio fotografico, si entusiasma a fotografare scenari più vasti possibile, panoramiche a 360°, “tutto” in uno scatto, a discapito dell’osservazione e valorizzazione delle piccole cose e di tutti quei dettagli che con quella sua rapida e superficiale occhiata non riesce ovviamente a vedere (né prova a cercarli!). Anche nell’approccio alla Natura ci siamo abituati a questa modalità e, soprattutto, quando pensiamo a un giardino, un parco, un balcone o un semplice davanzale, cerchiamo comunque l’effetto eclatante, immediato e scenografico, acquistando piante riprodotte e coltivate in modo forzato nei vivai al fine di attrarci con accattivanti fioriture ricche e precoci, ma che… ahinoi… il più delle volte, hanno vita breve. Infatti, spesso accade che come vengono collocate a dimora, o anche solo poste con il loro vasetto di plastica sul nostro davanzale, queste piante dopo poco tempo mostrano sofferenza fino anche a morire. Abbiamo sempre dato la colpa di questi fallimenti alla nostra mancanza di “pollice verde”, senza pensare che, forse, quella pianta non era affatto adatta al nostro clima o era troppo debole, perché non era stata riprodotta e coltivata nel modo più naturale. Un altro esempio: fino almeno alla metà del ventesimo secolo (in fondo non sono passati poi così tanti anni!), uno dei modi di trascorrere le domeniche “in mezzo alla natura” era quello di andare con le famiglie o in compagnia a fare razzia di fiori selvatici sulle colline o montagne vicine alle città, le famose “narcisate”… Tutti avremo visto di sicuro almeno una volta quei mazzi di fiori che ancor prima di arrivare a casa, la sera, erano già appassiti dietro al lunotto della “600”. Oggigiorno, quei prati e quei monti non ci donano più il piacere della bellezza di questi fiori. Siamo riusciti ad annientarla in pochi decenni. Lo stesso vale per la meraviglia offerta da un campo rosso di papaveri. Diserbanti e produzioni intensive li hanno cancellati dalla nostra vista e dalla nostra vita. Forse, chi è giovane, non ne ha mai visto uno, se non in fotografia. Aggiungo anche quelle scelte scellerate su larga scala che hanno stravolto gli equilibri di grandi aree, come l’introduzione ad esempio degli ailanti, alberi di rapidissima crescita ma invasivi, lungo i canali e le rogge di pianura o nei parchi pubblici, al posto delle specie autoctone. Oggi, finalmente, si incomincia ad operare una risostituzione, per tornare a quella che era la realtà verde di quei luoghi. Gli esempi sono purtroppo infiniti, a tutti i livelli. Ma vi è fortunatamente anche un approccio diametralmente opposto. L’ho sperimentato in prima persona, anche ritornando al discorso sulla fotografia, ma non solo: Lo stare e tornare nello stesso luogo per anni ed anni, mi ha regalato la capacità di usare meno “il grandangolo” e maggiormente il “macro”, di andare a scovare quello che la volta precedente non avevo saputo vedere, la fogliolina poco vistosa, il fiorellino nascosto che spunta da sé in un angolino impossibile, qualche insetto operoso che mai prima di allora avevo osservato e iniziare così ad appassionarmi, a prendermene cura, a rispettare tutto quel mondo vivente che non avevo mai notato prima, o che era stato declassato, ignorato o sostituito in modo artificioso. Il libro di Maria Ferdinanda Piva mi ha colpita proprio per questi aspetti: ci sprona a riscoprire piante, erbe, fiori che cercano spontaneamente di riconquistare il loro spazio naturale vicino a noi, chiedendoci solo amore e pochissime cure, perché le specie spontanee sanno arrangiarsi da sé, non pretendendo nulla da noi, ma per contro donandoci davvero molto. Il libro fornisce suggerimenti e consigli su come disporre adeguatamente le nostre innumerevoli specie selvatiche nei punti del giardino o del balcone che siano più adatti alle loro necessità, in modo da ridurre al minimo il “nostro lavoro” di giardinaggio e il consumo di acqua, ma consentendo il normale sviluppo delle piante in modo da permetterci di godere della loro bellezza senza provocare scompensi o stress alla Natura. Gli argomenti sono suddivisi in modo molto funzionale, secondo le varie tipologie di piante, evidenziando le loro esigenze di esposizione, terreno, irrigazione, in funzione naturalmente anche degli spazi disponibili (dal piccolo davanzale cittadino fino al vasto prato, campo o orto, per chi ha la fortuna di possederne uno). Ma nessuno è escluso da questa esperienza. Il giardinaggio selvatico è per tutti. Parlare di vegetazione spontanea implica anche la considerazione di tutto l’habitat che vi sta attorno, insetti e uccelli compresi. Chi ama le farfalle troverà suggerimenti per attirarle maggiormente. Sappiamo anche che il mondo ha bisogno di difendere gli impollinatori, prime fra tutte le api. Qui troveremo l’indicazione delle specie più adatte e gradite a questi meravigliosi esseri. Anche gli uccelli hanno bisogno di un ritorno alla Natura. Numerose specie sono sparite, soppiantate da altre più grosse e prepotenti, che si cibano di rifiuti e che nelle città hanno trovato l’habitat ideale. Anche una cassettina sul davanzale, se opportunamente coltivata, può fare la differenza per attirare piccole creature che fino a pochi anni fa ci facevano compagnia pur restando in città. Infine, per chi ama la cucina, il libro ci aiuterà a riscoprire alcune erbe che facevano parte della dieta dei nostri nonni e forse ancora di qualche anziano che vive lontano dai grossi centri urbanizzati, ma saggiamente ci raccomanda anche la massima attenzione prima di cogliere piante che possono apparire simili a quelle edibili ma che potrebbero invece essere velenose o comunque nocive per noi. Tutto questo ci fa comprendere quanto vasto sia questo “piccolo mondo” spontaneo così vicino a noi e quanto ci sia da osservare, approfondire, studiare, imparare da un ambiente selvatico che merita di essere salvaguardato. Un piccolo grande libro, questo “Manuale di giardinaggio selvatico”, che ci fa aprire gli occhi e ci aiuta a riscoprire e valorizzare tutto quello che la Natura fa crescere accanto a noi, che sia in un fazzoletto di terra, o perché no, anche in una semplice cassettina sul balcone in città. Perché la Natura selvatica è ovunque! Rossella Del Grande

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