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Notte al museo di Castelvecchio

Notte al museo di Castelvecchio

di Fabrizio Ago (Autore)

Il romanzo è suddiviso in 9 capitoli. La vicenda si svolge in un'unica notte di fine marzo e sempre rigorosamente all'interno della Sala Reggia. Il tono varia, a seconda delle situazioni, dal serio al quasi scherzoso. Le opere che parlano adottano in genere un linguaggio un po' desueto e forbito. Quattro statue usano fare commenti e pettegolezzi in versi.

Informazioni editoriali

Data di uscita
2012
Editore
Youcanprint
Pagine
284
ISBN
ISBN
9788867518852

Recensioni clienti

5 su 5 stelle sulla base di 2 Recensioni
Da Paola Melisi il 22 mar 2021
Pubblicazione cartacea

[b][b]Una notte di fine di marzo, o forse di inizio d’autunno immersi nella magia[/b] L’anno scorso ho avuto modo di visitare il museo di cui si parla in questo libro. Ha ragione Fabrizio Ago, è veramente un museo magico e anch’io quando vi sono andata ho sentito raccontare del fantasma, donna, che si aggira tra quelle antiche mura in cerca della sua bambina mai nata. E altrettanto magica è la storia che l’autore ci racconta, con i quadri e le statue che di notte si animano, discutono, ricordano, litigano, si vantano di azioni non compiute. Come risplendono gli ori di cui sono ricche e che il libro sembra far luccicare davanti agli occhi del lettore. Ma anche come sono umane in fondo quelle opere d’arte. Da questo punto di vista vale la pena di citare la storia d’amore tra una statua e un quadro. Come è bella, articolata e ben costruita a tratti quasi sensuale quella loro storia, ma anche veramente triste per come finisce miseramente, con il lui che viene scoperto mentre lancia sguardi furtivi ad una dama fiamminga. Davvero una bella immaginazione. E poi il racconto di Gesù e del suo periodo in Tibet, alla ricerca di contatti con il buddhismo. E soprattutto il grido di dolore di Santa Caterina d’Alessandria e di Santa Caterina da Siena su come la figura della donna sia stata oscurata nei secoli dalla Chiesa. Non c’è davvero bisogno di essere femministe per indignarci pure noi. Però mi piace che simili commenti vengano da un uomo. Ma ancora, in difesa della donna, come è dolce la figura di Lucia che va a trovare e ringraziare la Madonna del Parto e come è dipinta in modo delicato la figura di Maria Maddalena, che si capisce che per l’autore ha avuto un rapporto molto particolare con il Cristo. Ecco che allora questo libro cessa di essere semplicemente un romanzo e diventa un saggio sulla nostra società, sulla cultura, anche sui comportamenti delle persone che si recano in un museo. Dal signore distinto che si leva il cappello in segno di rispetto davanti ad un affresco. A quello ricco ed un poco volgare, fiero solo del suo portafoglio. Al ragazzo che vi viene con la scuola e deve copiare un quadro, e poi una volta fatto il disegno, lo mostra alla Madonna rappresentata in quel quadro, a cercarne l’approvazione. Alle due anziane signore un poco snob e dai nomi ricercati, che attraversano la sala, senza fermarsi, in quanto nelle nostre menti non vi è spazio per il troppo bello. Non mancano infine note allegre, spunti spiritosi, come la storia dell’invenzione del formaggio e del bambino cui piace tanto e che canta una filastrocca a San Mamaso, che la tradizione ricorda come ne sia stato l’inventore. O come la storia d’amore tra un pittore ed una sua amica un poco selvatica, forse egiziana, che diventa musa ispiratrice per i suoi quadri, tanto che Sant’Agostino alla fine viene dipinto con fattezze leggermente femminee. Non manca infine una piccola nota di giallo, di cui però non è opportuno qui parlare, per non svelare un segreto, che solo nelle ultime pagine verrà rivelato. Una lettura poi molto piacevole, per il garbo con cui il libro è scritto. Anche il linguaggio usato ha una sua piacevolezza. Un linguaggio volutamente arcaico e con uso di termini vecchiotti, ma insieme leggero, con la leggerezza di Italo Calvino, da cui si comprende come per molti passaggi i suoi testi siano stati di ispirazione. Bella anche la trovata delle quattro dame che si esprimono cantando, in parte in dialetto veneto e con l’invenzione di parole assolutamente strambale, come “Da sganassarse; orribilmentissimamente ridicoli”. E allora tanti complimenti all’autore, che poi dal suo sito web si scopre come sia un vero studioso di musei. Ma si capisce che dietro questo libro vi è anche un’attenta ricerca storiografica e di storia delle religioni. Non sarebbero stati altrimenti possibili tanti passaggi sulle pratiche ascetiche e religiose del popolo della Montagna Sacra.

Da Elodia Saetti il 22 mar 2021
Pubblicazione cartacea

“Notte al Museo di Castelvecchio” sembra nascere da almeno due grandi amori: l’amore per i musei, e le opere d’arte in essi contenuti, e l’amore per la cultura: una cultura per nulla sfacciata, che non fa sfoggio di se stessa (non ne ha necessità), ma emana con disinvoltura da ciò che è sua culla naturale, la sala di un museo, una sorta di “luogo consacrato”, dedicato a conservarla e proteggerla. E, assieme alla cultura, quasi fosse un sinonimo, si percepisce la bellezza, che esprime se stessa in due semplici concetti: “armonia” e “equilibrio”, esteriore, ma soprattutto interiore. Forse è questo ciò che più si respira lungo tutto questo romanzo di Fabrizio Ago, nel quale le opere riunite da Carlo Scarpa, all’interno della Sala Reggia del Museo di Castelvecchio (Verona), divengono protagoniste e animano con le loro riflessioni e i loro racconti le sue belle pagine. Il garbo del dialogo, il piacere del confronto, i piccoli screzi dovuti alla convivenza, persino gli amori di lunga data che iniziano ad incrinarsi, tutto parla di equilibrio, in un gioco di alti e bassi, un rincorrersi di aneddoti che non è mai incalzante, ma sempre proposto come stimolo di riflessione. In questo concreto equilibrio, i confronti fra opere d’arte fanno inevitabilmente da specchio ad una realtà che diviene “brutta copia” di quella che anima le notti fra le pareti della Sala Reggia, una società “esterna” sulla quale le opere d’arte non possono fare a meno di interrogarsi. E gli interrogativi di ciascun personaggio, che prende vita dalla pittura o dalla pietra che lo raffigura, e che osserva e commenta con lo sguardo del suo tempo, divengono gli interrogativi di chi legge, spunti per affrontare concetti talvolta, o troppo spesso, dati per scontati: un micro-cosmo che vive di vita propria, isolato, ma, proprio per questo, con una sua intrinseca purezza e ingenuità. Ecco così che i grandi interrogativi, che da sempre fanno seguito al percorso dell’uomo nella storia, qui prendono una nuova forma, talvolta ironica, sottolineati dal contrappunto a quattro voci, tassativamente in gustosissimo vernacolo, delle “quattro Nobili Dame”. Come quando i due “Dotti Messeri” ipotizzano, sulla base di formule matematiche note al tempo della loro vita, la loro collocazione all’interno del museo, e del museo all’interno della città, evocando antichi e filosofici interrogativi. Oppure il racconto del “Domine Gesù”, che narra dei suoi anni trascorsi presso la “Montagna Sacra”. O ancora le disquisizioni sul ruolo della donna nelle Sacre Scritture, che prendono spunto dal concetto di sottrazione degli eventi dalla storia, operata dalle scelte dell’uomo. Ogni personaggio ha tre vite: quella dell’opera che ha preso forma dalle mani dell’antico artista, quella realmente vissuta da colui è vi è raffigurato, e l’ultima, quella che sta vivendo nelle pagine di questo romanzo, all’interno della Sala Reggia del Museo di Castelvecchio, una vita resa eterna dall’arte. Il tutto narrato in un linguaggio lievemente aulico, il “loro” linguaggio, il linguaggio del loro tempo, un linguaggio prezioso per un’opera preziosa come quella di questo abile autore: Fabrizio Ago.

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