CARRELLO
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Il particolare rapporto genio/follia in Torquato Tasso ne fa uno degli "oggetti" più preziosi per la fantasia degli artisti; così se ne occuparono Goethe e Goldoni, Baudelaire, Leopardi e Byron, Rousseau e Delacroix e ne scrisse un prezioso e documentatissimo poemetto in ottava rima il vicentino Iacopo Cabianca (solo una omonimia!). La sua condizione di poeta di corte lo costrinse in un ruolo che mal sopportava tra amori contrastati o proibiti e tormenti e scrupoli di tipo morale legati ad alcuni aspetti della sua opera, in tempi di inquisizione imperante, che lo spinsero in un vicolo cieco fino alla definitiva perdita della ragione. Cabianca ripercorre i momenti salienti della sua vita inquieta ed errabonda, descrive gli anni alla corte estense di Ferrara fino alla morte in solitudine, da carcerato, come di fatto avvenne, anche se il suo carcere fu il monastero di Sant'Onofrio a Roma e i suoi carcerieri furono i monaci.
Recensione del prof. Enzo Santese - C'è voluto un intellettuale romeno per farci incontrare, il comune amico Stefan Damian. Con questo lavoro Cabianca rivela una squisita sensibilità per quel che è classicità, antica e recente. Torquato Tasso nasce a Sorrento, figlio di un funzionario del conte Sanseverino mentre la madre è bergamasca e si scontra, per la sua ipersensibilità, prima con le convenzioni della vita di corte, presso il Duca di Ferrara Alfonso, poi con le dure regole della controriforma e il loro riflesso su anime dubbiose come la sua. E' il prototipo del cortigiano cui la vita di corte dà soprattutto noie, per l'invidia di altri cortigiani che cercano di metterlo in cattiva luce presso il duca D'Este approfittando delle sue debolezze sia di carattere (emotivamente instabile) sia del suo amore (impossibile e mascherato) per la sorella del Duca. Viene rinchiuso a Sant'Anna per una presunta o vera pazzia per il tentativo di assassinio di un servo da parte di T. che si sentiva spiato, ma soprattutto per la rabbia che gli dava l'essere stato defraudato dei suoi scritti dal Duca stesso. Scritti pubblicati poi a Venezia e altrove senza il suo consenso in modo disordinato (ma con grande successo soprattutto popolare tra i gondolieri a Ve e perfino tra i pupari nelle piazze d'Italia). Cabianca interpreta la figura di TT alla luce di una sensibilità che non ne altera la fisionomia storica ma parte da quella per un'avventura del pensiero e per inventare un dialogo serrato prima tra i vari personaggi, Duchessa e Contessa Eleonora, la cui omonimia crea qualche dubbio e palpitazione presso i cortigiani e presso il marito della Contessa di Scandiano, l'altra Eleonora, e ulteriore invidia presso i cortigiani, letterati intriganti e sospettosi. Piace molto la conclusione, un dialogo, schizofrenica conversazione tra un Torquato lucido e razionale e un Torquato alterato in preda a voci, fantasmi e allucinazioni, deriso dagli stessi carcerieri.
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